(nato a Baden presso Vienna nel 1929)
«Van Gogh in dunkler Glorie», dal ciclo Van Gogh, monogrammato e datato R 1979, inoltre titolato, olio su fotografia, cm 59,7 x 47,5, con cornice, (K)

Illustrazione a pagina intera in:
Arnulf Rainer, ...ALS VAN GOGH ALS..., Galerie van de Loo, Monaco di Baviera 1980, tavola 18.

Vedi: Arnulf Rainer, Albertina Vienna/Museum Frieder Burda, Baden-Baden, 2015, edito da Buchhandlung Walther König, pag. 137–141.

Provenienza:
Galerie van de Loo, Monaco di Baviera;
Galerie Georg Nothelfer, Berlino (etichetta sul cartone di copertura);
collezione privata, Germania.

Risale a tante tempo fa la prima volta che van Gogh a tutti i costi volle essere ritratto, o metaforizzato, da me. Tutto iniziò nel 1948 con il disegno ritratto «Wie, van Gogh in Gottes Ohr?».
A quell’epoca ero ancora molto scrupoloso ed ho bruciato via quel disorientamento personale. Nel 1949/50 mi sono poi autoritratto nello stile dell’Archimboldo vegetale come incarnazione di Vincent, naturalmente solo nascosta, contrabbandata, e non riconoscibile per i miei maestri della scuola media superiore. A ciò si aggiunsero parafrasi come ermafrodito, enfatizzatore delle orecchie, figura bicipite, sosia, martire, signorina, Gesù, puro spirito, risorto, caduto, epilettico. Nel 1968 fu realizzato un grande disegno dal titolo «van Gogh als Jagdflieger» [van Gogh aviatore da caccia] (diventare pilota era il mio sogno quando avevo dodici anni).
Quantomeno da allora ho riunito due ideali giovanili, e curavo il contatto con me stesso attraverso van Gogh. E’ il celebre complesso di Napoleone, la megalomania calcolata, l’utilizzo del genio, la ricerca del capobranco di un non identico…
Ricordiamo un altro impulso secondario: io sono sepolto sotto la neve e soffro io stesso della mia auto-copertura, sono timido e non amo essere in balia del prossimo. Dunque mi sono munito di contro-strategie, le ho praticate al livello dell’opera. Non riesco a tener testa ad una debolezza: perdo e mi diramo troppo, e non so dove si trovi la corrente, il tronco. Probabilmente io non sono affatto un albero, come altri artisti, ma un cespuglio rigoglioso che vuole costantemente mettere alla prova la propria completezza e deve estendere ogni ramo possibile. E riprendiamo nello stile dell’enumerazione di voci corrispondenti.
Questo ciclo di ritratti rielaborati di van Gogh possiede aspetti fra i quali:
perdita di sé;auto-transustanziazione;
pulsione alla mobilità dell’Io;
vezzo della trascendenza dell’ego; auto-teatro;
il simulato annullamento dell’Io;
l’interesse per le nuove auto-invenzioni;
il timore dell’acerrimo nemico nel proprio stomaco;
la simpatia per l’acerrimo nemico nel proprio petto;
il dedicarsi al rilassamento delle vene del cervello;
i mescolamenti di ruoli dell’elettricista;
l’anelito per il genio;
la presunzione dell’euforico…
L’enumerazione non può mai aver fine. Non trovo una definizione che abbracci tutto e sia che sia perfettamente consona a me. Gli altri sono più in grado di me di indovinare la mia motivazione personale, io non la trovo. Ma a che serve tutto ciò, mi chiedo spesso. In ogni caso senza mai concludere o limitare, anche in questo ciclo di van Gogh io cerco lo stessa cosa che in tutti gli altri cicli di opere, che si tratti di scarabocchi, immagini mascherate, pose fotografiche, caricature, ridipinture, sgorbi alla cieca, raffigurazioni di morti, (ed anche auto-commenti):
di raccogliere me stesso,
di incollare insieme i miei pezzi.
Arnulf Rainer, Passavia-Vienna, marzo 1980, da: ...ALS VAN GOGH ALS... oder der Versuch meinen permanenten Zerfall aufzuhalten.