Lotto No. 547


Pietro Paolini


Pietro Paolini - Dipinti antichi

(Lucca 1603–1681)
Allegoria di Pandora,
olio su tela, ovale, cm 50 x 39, con cornice

Siamo grati a Patrizia Giusti Maccari per aver confermato l'autografia.

Il dipinto, inedito, costituisce un'ulteriore, eccellente prova della tenuta stilistica e della sapiente capacità di coniugare insieme organizzazione compositiva della scena e soggetto, caratterizzanti l'attività svolta nel decennio 1625-1635 da Pietro Paolini. Tale arco cronologico segna la fase più significativa e qualificante della lunga e proficua carriera artistica del pittore, plasmata, anche culturalmente, dalla frequentazione a Roma di Angelo Caroselli, presso il quale secondo la letteratura artistica sette-ottocentesca era stato mandato dal padre all'età di sedici anni, ovvero nel 1619, e dell'ambiente dei numerosi naturalisti caravaggeschi italiani e stranieri lì attivi. Dati di archivio di recente reperimento obbligano a riconsiderare la durata e l'effettiva consistenza del rapporto del Paolini col Caroselli, assente da Roma in modo continuativo dal giugno 1616 al febbraio 1623 (vedi M. Rossetti, Note sul soggiorno napoletano di Angelo Caroselli (1585-1652), appunti sulla parentesi fiorentina e alcune opere inedite, in L'Acropoli, a.XI, n.5, pp.1-23); la presenza documentata del Paolini a Lucca nel 1626, almeno limitatamente ai mesi giugno-ottobre (P. Giusti Maccari, in corso di pubblicazione), restringe ancor di più il periodo del loro legame, forse ispirato più a toni di collaborazione e di condivisione tipologica dei soggetti che di semplice discepolato. Al di là di questo indispensabile chiarimento, resta il fatto che il lucchese rientra a pieno titolo in quella eccellente schiera di pittori naturalisti caravaggeschi di seconda generazione, con Bartolomeo Manfredi per capofila, protagonisti del variegato panorama artistico romano tra il secondo e il terzo decennio del Seicento (R. Vodret, Caravaggio e l'Europa, in: Caravaggio e l'Europa. Il movimento internazionale da Caravaggio a Mattia Preti, catalogo della mostra , 2005, pp. 75–85).
Esemplificativo della partecipazione del Paolini ad ambienti di notevole e aggiornato livello culturale a Roma come a Lucca - il quadro può essere stato dipinto al termine del soggiorno in quella città come subito dopo il rientro in patria, già avvenuto nel maggio del 1632 dopo una sosta a Venezia - il tema allegorico rappresentato nell'ovale, allusivo all'infrequente mito di Pandora. Narrato in modo controverso fin dall'antichità, praticamente dimenticato per secoli e riscoperto solo nel 1471 a seguito della traduzione dal greco di Niccolò della Valle delle Opere e i giorni e della Teogonia di Esiodo, principale fonte di informazione al riguardo. Nel secolo successivo, grazie all'imponente trattato di mitografia dell'umanista Lilio Gregorio Giraldi, alla diffusione degli Emblemata di Andrea Alciati, con due xilografie dedicate alla vicenda, e al disegno di Rosso Fiorentino illustrante per la prima volta Pandora nell'atto di scoperchiare il vaso, la sua storia comincia a diffondersi, affermandosi prima Francia, poi in Inghilterra e nei Paesi Bassi, per raggiungere l'Italia e, quindi la Germania (D.-E. Panofsky, Il vaso di Pandora, Torino 1992). Tema, comunque, insolito e raffinato, incentrato sul momento in cui Pandora, bellissima giovane plasmata da Efesto per volere di Giove e animata da Atena, lasciandosi vincere dalla curiosità, toglie il coperchio al vaso in cui erano contenuti i doni, positivi e negativi, che le erano stati fatti da tutti gli dei, nonostante il divieto ricevuto. È dalla sua disobbedienza che i mali si diffondono tra gli uomini, ed è per questo che la figura di Pandora è stata talvolta accostata a quella di Eva. Probabile, ma non dimostrabile, che il Paolini o il suo colto committente, possa essere stato influenzato nella scelta del soggetto dai versi che Giovan Battista Marino dedica alla giovane nell'Adone, scritto nel 1621.Consapevole della propria avvenenza, Pandora appunta i suoi occhi grandi, magnetici, di un nero profondo come quello dei capelli e delle sopracciglia, sullo spettatore, chiamato a condividere la sua curiosità. Un accenno di sorriso le solleva appena gli angoli della bella bocca rossa. Sulla base della narrazione esiodea, il filo di grosse perle che le cinge il collo lungo e sottile indica uno dei monili ricevuti in dono dalle Grazie, i fiori appuntati nel velo poggiato sui capelli quelli a lei offerti dalle Ore. In immediato primo piano, leggermente spostato rispetto al centro, proprio per acquistare maggior risalto, il vaso, in forma di pisside col corpo percorso da baccellature, scoperchiato dalla donna senza incertezza, incurante delle possibili conseguenze al suo atto di disobbedienza. Come accade in altre opere del Paolini di soggetto allegorico, spesso di tono didascalico-moraleggiante, il messaggio simbolico di cui questa è stata caricata non appare di comprensione immediata, ma verosimile l' allusione a quanto la bellezza terrena possa essere ingannevole, capace con la sua forza ammaliatrice di generare il male.
La qualità stilistica, la capacità espressiva del volto della giovane - forse un ritratto dal vero?- i suoi tratti fisionomici, dagli zigomi alti e pronunciati, la delicatezza con cui l'ombra le vela la parte sinistra del viso, sono tutti elementi che confermano l'attribuzione dell'opera al Paolini; confortata anche dal ricorso del pittore al formato ovale, a lui evidentemente congeniale come dimostrano i suoi anziani accordatori di strumenti musicali (P. Giusti Maccari, Pietro Paolini pittore lucchese, 1987, pp. 130–133; G. Papi, La ‚schola’ del Caravaggio. Dipinti dalla Collezione Koelliker, catalogo della mostra , 2006, pp. 166/67).

Siamo grati a Patrizia Giusti Maccari per aver catalogato il dipinto in oggetto.

15.10.2013 - 18:00

Prezzo realizzato: **
EUR 49.100,-
Stima:
EUR 40.000,- a EUR 60.000,-

Pietro Paolini


(Lucca 1603–1681)
Allegoria di Pandora,
olio su tela, ovale, cm 50 x 39, con cornice

Siamo grati a Patrizia Giusti Maccari per aver confermato l'autografia.

Il dipinto, inedito, costituisce un'ulteriore, eccellente prova della tenuta stilistica e della sapiente capacità di coniugare insieme organizzazione compositiva della scena e soggetto, caratterizzanti l'attività svolta nel decennio 1625-1635 da Pietro Paolini. Tale arco cronologico segna la fase più significativa e qualificante della lunga e proficua carriera artistica del pittore, plasmata, anche culturalmente, dalla frequentazione a Roma di Angelo Caroselli, presso il quale secondo la letteratura artistica sette-ottocentesca era stato mandato dal padre all'età di sedici anni, ovvero nel 1619, e dell'ambiente dei numerosi naturalisti caravaggeschi italiani e stranieri lì attivi. Dati di archivio di recente reperimento obbligano a riconsiderare la durata e l'effettiva consistenza del rapporto del Paolini col Caroselli, assente da Roma in modo continuativo dal giugno 1616 al febbraio 1623 (vedi M. Rossetti, Note sul soggiorno napoletano di Angelo Caroselli (1585-1652), appunti sulla parentesi fiorentina e alcune opere inedite, in L'Acropoli, a.XI, n.5, pp.1-23); la presenza documentata del Paolini a Lucca nel 1626, almeno limitatamente ai mesi giugno-ottobre (P. Giusti Maccari, in corso di pubblicazione), restringe ancor di più il periodo del loro legame, forse ispirato più a toni di collaborazione e di condivisione tipologica dei soggetti che di semplice discepolato. Al di là di questo indispensabile chiarimento, resta il fatto che il lucchese rientra a pieno titolo in quella eccellente schiera di pittori naturalisti caravaggeschi di seconda generazione, con Bartolomeo Manfredi per capofila, protagonisti del variegato panorama artistico romano tra il secondo e il terzo decennio del Seicento (R. Vodret, Caravaggio e l'Europa, in: Caravaggio e l'Europa. Il movimento internazionale da Caravaggio a Mattia Preti, catalogo della mostra , 2005, pp. 75–85).
Esemplificativo della partecipazione del Paolini ad ambienti di notevole e aggiornato livello culturale a Roma come a Lucca - il quadro può essere stato dipinto al termine del soggiorno in quella città come subito dopo il rientro in patria, già avvenuto nel maggio del 1632 dopo una sosta a Venezia - il tema allegorico rappresentato nell'ovale, allusivo all'infrequente mito di Pandora. Narrato in modo controverso fin dall'antichità, praticamente dimenticato per secoli e riscoperto solo nel 1471 a seguito della traduzione dal greco di Niccolò della Valle delle Opere e i giorni e della Teogonia di Esiodo, principale fonte di informazione al riguardo. Nel secolo successivo, grazie all'imponente trattato di mitografia dell'umanista Lilio Gregorio Giraldi, alla diffusione degli Emblemata di Andrea Alciati, con due xilografie dedicate alla vicenda, e al disegno di Rosso Fiorentino illustrante per la prima volta Pandora nell'atto di scoperchiare il vaso, la sua storia comincia a diffondersi, affermandosi prima Francia, poi in Inghilterra e nei Paesi Bassi, per raggiungere l'Italia e, quindi la Germania (D.-E. Panofsky, Il vaso di Pandora, Torino 1992). Tema, comunque, insolito e raffinato, incentrato sul momento in cui Pandora, bellissima giovane plasmata da Efesto per volere di Giove e animata da Atena, lasciandosi vincere dalla curiosità, toglie il coperchio al vaso in cui erano contenuti i doni, positivi e negativi, che le erano stati fatti da tutti gli dei, nonostante il divieto ricevuto. È dalla sua disobbedienza che i mali si diffondono tra gli uomini, ed è per questo che la figura di Pandora è stata talvolta accostata a quella di Eva. Probabile, ma non dimostrabile, che il Paolini o il suo colto committente, possa essere stato influenzato nella scelta del soggetto dai versi che Giovan Battista Marino dedica alla giovane nell'Adone, scritto nel 1621.Consapevole della propria avvenenza, Pandora appunta i suoi occhi grandi, magnetici, di un nero profondo come quello dei capelli e delle sopracciglia, sullo spettatore, chiamato a condividere la sua curiosità. Un accenno di sorriso le solleva appena gli angoli della bella bocca rossa. Sulla base della narrazione esiodea, il filo di grosse perle che le cinge il collo lungo e sottile indica uno dei monili ricevuti in dono dalle Grazie, i fiori appuntati nel velo poggiato sui capelli quelli a lei offerti dalle Ore. In immediato primo piano, leggermente spostato rispetto al centro, proprio per acquistare maggior risalto, il vaso, in forma di pisside col corpo percorso da baccellature, scoperchiato dalla donna senza incertezza, incurante delle possibili conseguenze al suo atto di disobbedienza. Come accade in altre opere del Paolini di soggetto allegorico, spesso di tono didascalico-moraleggiante, il messaggio simbolico di cui questa è stata caricata non appare di comprensione immediata, ma verosimile l' allusione a quanto la bellezza terrena possa essere ingannevole, capace con la sua forza ammaliatrice di generare il male.
La qualità stilistica, la capacità espressiva del volto della giovane - forse un ritratto dal vero?- i suoi tratti fisionomici, dagli zigomi alti e pronunciati, la delicatezza con cui l'ombra le vela la parte sinistra del viso, sono tutti elementi che confermano l'attribuzione dell'opera al Paolini; confortata anche dal ricorso del pittore al formato ovale, a lui evidentemente congeniale come dimostrano i suoi anziani accordatori di strumenti musicali (P. Giusti Maccari, Pietro Paolini pittore lucchese, 1987, pp. 130–133; G. Papi, La ‚schola’ del Caravaggio. Dipinti dalla Collezione Koelliker, catalogo della mostra , 2006, pp. 166/67).

Siamo grati a Patrizia Giusti Maccari per aver catalogato il dipinto in oggetto.


Hotline dell'acquirente lun-ven: 10.00 - 17.00
old.masters@dorotheum.at

+43 1 515 60 403
Asta: Dipinti antichi
Tipo d'asta: Asta in sala
Data: 15.10.2013 - 18:00
Luogo dell'asta: Vienna | Palais Dorotheum
Esposizione: 05.10. - 15.10.2013


** Prezzo d’acquisto comprensivo dei diritti d’asta acquirente e IVA

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